Negli anni '60 oltre che ad affacciarsi piano piano anche sui set internazionali Claudia continua a lavorare in Italia. Oltre alle pellicole gia' citate nelle pagine pfrecedenti, in questa pagina sono postate foto riguardanti i seguenti film girati tutti in Italia: Senilita' (1962), Gli Indifferenti (1964), Il Magnifico Cornuto (1964), Vaghe Stelle dell'Orsa (1965), Le Fate (Episodio Fata Armenia, 1966), Il Giorno della Civetta (1968), Ruba al prossimo tuo (1968), C'era una volta il West (1968), Certo certissimo, anzi probabile, (1969), Nell'Anno del Signore.
TRAMA. Amerigo Monti, figlio di Stefano, si reca a Firenze a lavorare nella bottega dello zio Nando. Amerigo si reca in una casa allegra dove conosce Bianca della quale si invaghisce. Per frequentare Bianca, Arrigo ruba dei quattrini allo zio che, accortosene, lo scaccia. Il ragazzo torna alla "viaccia" dove il padre, venuto a conoscenza della cosa, lo riaccompagna a Firenze. Amerigo, però, non viene ripreso nella bottega dello zio, e continua a frequentare Bianca. Il giovane Monti conosce alcuni anarchici e vorrebbe seguire il gruppo, ma l'amore per Bianca lo trattiene a Firenze. Una sera Amerigo viene accoltellato da un amico di Bianca; ricoverato in ospedale se ne allontana, nonostante la ferita e si reca a trovare la donna che ama. Ma questa fa riferire di essere partita. Amerigo morente ritorna alla "viaccia".Amerigo Monti, figlio di Stefano, si reca a Firenze a lavorare nella bottega dello zio Nando. Amerigo si reca in una casa allegra dove conosce Bianca della quale si invaghisce. Per frequentare Bianca, Arrigo ruba dei quattrini allo zio che, accortosene, lo scaccia. Il ragazzo torna alla "viaccia" dove il padre, venuto a conoscenza della cosa, lo riaccompagna a Firenze. Amerigo, però, non viene ripreso nella bottega dello zio, e continua a frequentare Bianca. Il giovane Monti conosce alcuni anarchici e vorrebbe seguire il gruppo, ma l'amore per Bianca lo trattiene a Firenze. Una sera Amerigo viene accoltellato da un amico di Bianca; ricoverato in ospedale se ne allontana, nonostante la ferita e si reca a trovare la donna che ama. Ma questa fa riferire di essere partita. Amerigo morente ritorna alla "viaccia".
UNA CRITICA.
"Elegante, per non dire raffinato, melodramma social-sentimentale in bianco e nero di Mauro Bolognini, sceneggiato fra gli altri da vasco Pratolini, che ci mostra na Firenze lontana dalle cartoline illustrate. L'ardore dei due protagonisti ravviva una storia che rischia continuamente di afflosciarsi per mancanza di pathos. La Cardinale è così bella da sembrare finta". (Massimo Bertarelli, 'Il Giornale', 24 giugno 2000)
Protagonista di Senilità, il film di Mauro Bolognini del 1962, ispirato al romanzo di Italo Svevo, è insieme Claudia Cardinale, nel ruolo di Angiolina, ragazza spregiudicata quanto enigmatica, e la città di Trieste, che fa da sfondo alle sue avventure amorose. La città di Angiolina, il nuovo documentario di Gloria De Antoni e Oreste De Fornari prodotto dalla Cineteca del Friuli, con il contributo dell’Assessorato al Turismo della Regione Friuli Venezia Giulia e della FVG Film Commission, si propone di far rivivere quei giorni di 50 anni fa, attraverso i ricordi di quanti hanno partecipato o soltanto presenziato alle riprese del film, gli attori, Claudia Cardinale e Philippe Leroy, il costumista Piero Tosi, le comparse triestine, lo scrittore Claudio Magris e Tullio Kezich, scomparso l’estate scorsa e al quale il documentario è dedicato. Memorie, commenti e confronti sono stati raccolti dai due autori in modo inconsueto, intervistando i testimoni sui luoghi delle riprese, importunando i passeggeri di un tram, oppure pedinando un’attrice (Betsy Blair) nelle sue deambulazioni nei giardini pubblici di Trieste in un giorno di pioggia. Senza dimenticare gli interventi di Lelio Luttazzi, l’unico non testimone delle riprese, presente nel documentario come una sorta di genius loci che dispensa riflessioni e ricordi sulla Trieste di ieri. Ne viene fuori un mosaico policromo e prismatico dove si alternano cinema e televisione, bianco e nero e colore, 8 millimetri e 35 millimetri, brani del film di Bolognini e cinegiornali d’epoca, in un montaggio liquido che restituisce nel gusto di oggi la radiografia di un film simbolo della città di Trieste.
In una piovosa Roma autunnale degli anni venti, attorno alla figura di Leo Merumeci, lucido e determinato uomo d'affari, tra difficoltà economiche, vuoti riti sociali, ipocrisie, noia e solitudine, si catalizza il disfacimento della prestigiosa famiglia borghese degli Ardengo. Dopo avere per anni assecondato, quale suo amante, le illusioni vitalistiche dell'ormai spenta Maria Grazia, la madre rimasta vedova, e sostenuto con prestiti i barcollanti assetti economici della famiglia, Leo passa all'incasso. È in possesso delle ipoteche sulla lussuosa residenza della stirpe e attraverso di esse vuole giungere sino a Carla, la giovane figlia. Non la ama, ma la sua bellezza gioverebbe alla sua immagine di uomo di successo e il nome degli Ardengo al suo prestigio sociale. L'iniziale ripugnanza di Carla verso i corteggiamenti e i convegni clandestini con l'amante di sua madre, che, non senza cinismo si definisce «quasi suo padre», cederà di fronte alla prospettiva di una vita indigente, fuori dell'unico ambiente in cui si sente in grado di sopravvivere. Venuto a conoscenza della relazione, il fratello Michele, in uno dei suoi impulsivi slanci romantici, dopo aver fallito un goffo tentativo di uccidere Leo, propone a Carla di lasciare insieme quel mondo vuoto e corrotto e costruirsi una vita altrove. Ma come lei si rassegnerà, cercando in una squallida relazione con Lisa, amica di sua madre e precedente amante di Leo, un riscatto alla sua stanca vita borghese.
Suggestivo e riuscito adattamento dell'omonimo e noto romanzo di Alberto Moravia, Gli indifferenti è un tragico e cinico affresco di un nucleo allo sbando, paradigma dello sfacelo della società borghese dell'epoca. I cinque protagonisti, microcosmo imperfetto in rovina e unito da rapporti di convenienza e di facciata, si sgretola a poco a poco in un netto parallelismo tra situazione d'indigenza economica e declino morale. A volte attraverso un'impostazione dell'inquadratura che richiama la messa in scena teatrale, altre con un gioco di chiaroscuri che ben sottolineano il progressivo prevalere della morbosità e del senso di sconfitta, Maselli mantiene alta la tensione per tutta la durata della pellicola. Funzionale l'ottimo cast, nel quale svettano una fragile e sensuale Claudia Cardinale, il cui personaggio sacrifica la propria bellezza e giovinezza al bieco calcolo dell'agio e delle convenzioni sociali, e un intenso Rod Steiger, avido e cinico doppiogiochista, freddo calcolatore e insieme schiavo della propria libido. Notevole la prova di Paulette Goddard, nei panni disperatamente umani della Contessa Ardengo, e sorprendente un giovane e misurato Tomas Milian, lontano dalle future e tipiche caratterizzazioni vernacolari. Sceneggiato dal regista con Suso Cecchi D'Amico; colonna sonora di Giovanni Fusco, fotografia di Gianni Di Venanzo.
Una parte di una intervista rilasciata da Jean Sorel qualche anno fa riguardante apopunto il film Sandra (Vaghe Stelle dell'Orsa)
- E la scelta di lei come protagonista di «Vaghe stelle dell’Orsa»?
- Sono stato una seconda, anzi, una terza scelta. Visconti voleva Tab Hunter, rifiutato però dalla distribuzione Usa, perché palesemente gay. La Vides di Franco Cristaldi voleva Alain Delon, per ricreare a fini commerciali la coppia del Gattopardo, Delon-Cardinale. Ma Delon rifiutò per motivi economici. Anna Maria Ferrero, che avevo sposato nel ‘61, conosceva Visconti, grazie a un provino a Parigi per La dolce ala della giovinezza di Tennesse Williams, che poi non fu allestito. Ma già durante le riprese di Monsignor Cupido, episodio de Le bambole, di Mauro Bolognini mi avevano cercato la produzione e Visconti. Diedi retta a Bolognini, che mi scoraggiò, scongiurandomi di evitarlo: ‘Visconti è un personaggio insopportabile, abominevole, di una cattiveria incredibile con gli attori !’. Solo molto tempo dopo capii la sua reazione: Visconti lo chiamava Bolognetti, i due non si sopportavano.
- Com’è stato l’incontro con il ‘mostro’?
- Mi aveva invitato a casa sua, dove abbiam parlato per un’ora: di tutto, tranne che del film. Parlava un bel francese per i primi venti minuti, poi si stancava. Sono stato, con Anna Maria, anche alla ‘Colombaia’, la villa leggendaria a Ischia, ma non ci abbiamo mai dormito. Visconti aveva rapporti buffi con le sue mille case. Dove abbiamo girato Vaghe stelle dell’Orsa, si era comprato una bellissima villa, ma allo sfascio. Ne ha fatto restaurare subito, e soltanto, il teatro. Non ci si poteva dormire, ma si poteva assistere a qualche spettacolo. Nelle sue case splendide c’era una moltitudine d’oggetti di stili diversi. La sua grande qualità era di indovinare le mode. A me, come a lui, piacevano molto i bronzi : talvolta andavamo a Parigi a comprarne. Lui sapeva individuare il meglio al primo colpo d’occhio.
- Qual era il clima del set di Vaghe stelle dell’Orsa?
- Luchino aveva fama di regista irascibile. Ma l’ho visto adirarsi una volta sola. Forse ci ha aiutato la sua cotta per Helmut Berger, arrivato sul set con i Dalì. Mi aveva subito impressionato l’incredibile silenzio che regnava durante le riprese. Luchino incuteva soggezione, nessuno fiatava. Lui voleva che fossi presente anche quando non toccava a me. La prima volta, ero stato preso dal panico. Doveva girare Claudia Cardinale: salotto bellissimo, qualcuno bussa, Claudia va alla porta, apre, riceve un telegramma, si gira e cammina verso il centro della stanza leggendo un messaggio importante. A quel punto, Luchino si è inginocchiato davanti a lei, l’ha stretta alle caviglie e fatta camminare come da lui richiesto. È stato uno choc. Come si fa a lavorare così? Poi mi son ricreduto e con Luchino il clima è divenuto presto disteso.
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