Brava e preziosissima attrice italiana con il tempo e' diventata un'icona in grado di rimanere nel tempo, malgrado lei non si sia mai considerata tale. Lei stessa denuncia invece la sua particolare sensibilita' che le ha permesso di accostarsi con grande umiltà a personaggi cinematografici che sono vissuti dentro di lei, usandola.
Dice di se' nel 1955: «Io amo calarmi nel personaggio con l'esperienza che ho della vita, della mia vita. Mi piace recitare, per la possibilità che mi dà di vivere, oltre la mia, altre vite, altre storie: parto da me, e cerco di inventarmi nuovi modi di essere donna».Senza particolari ambizioni si è lanciata nel cinema italiano anni Sessanta mantenendo un certo distacco dal suo lavoro e dai suoi colleghi («gente cupa», dice «silenziosa, poco comunicativa») e diventando l'attrice prediletta di autori di serie A del cinema nostrano come Pietro Germi, Valerio Zurlini, Damiano Damiani, Sergio Leone, Federico Fellini, Mauro Bolognini e Luchino Visconti che ne hanno segnato la carriera e la maturazione esistenziale. Nota internazionalmente, ha rappresentato il trittico delle attrici maggiorate italiane più conosciute all'estero in quel periodo, rappresentato da lei, Sophia Loren e Gina Lollobrigida. Dotata di una bellezza solare, ruvida e calda, viene valorizzata in ruoli di donna onesta, ma pur sempre indecifrabile o conturbante per il genere maschile, imponendosi a tratti come ostinata e aggressiva, ma sempre rafforzando quel nuovo modello femminile libero, emancipato e indipendente che ha poi trasposto anche nella sua vita privata. Sotto quest'ottica cambiano anche i suoi ritratti di donne siciliane, all'interno delle quali fa di queste fimmine simboli di una sessualità esplosiva che fiammeggia nei suoi occhi e sull'abbronzatura della sua pelle. Il genuino talento recitativo ha poi garantito la sua celebrità a lungo termine.
La vita in Tunisia Nata come Claude Josephine Rose Cardinale a La Goletta, in Tunisia, il 15 aprile 1938, ha genitori di origine siciliana (i nonni paterni erano commercianti di Gela che poi si erano trasferiti a Tunisi, quando ancora la città era sotto il protettorato francese, mentre i nonni materni avevano un'impresa di costruzione marittima a Trapani, preferendo poi stabilirsi a La Goletta, dove esisteva una numerosa comunità italiana). Suo padre era un ingegnere delle ferrovie. Famiglia benestante, dunque, che permise alla Cardinale e a sua sorella minore Blanche di essere educate nel collegio privato delle suore di Saint-Joseph-del'Apparition a Cartagine. Bambina piuttosto irrequieta e vivace (viene ricordata come costantemente punita) impara l'arabo tunisino, il francese e il siciliano, ma non l'italiano. Diplomata al liceo Paul Cambon, sogna di diventare maestra, ma la sua adolescenza denotata, come per tutti gli adolescenti di ogni epoca, da una certa chiusura caratteriale e da una quiete alternata a momenti di selvaggia aggressività, la spinge a sognare una vita diversa e meno ordinaria. Fan sfegatata di Brigitte Bardot (che era allora celebre mondialmente per E Dio creò la donna), accetta di apparire, assieme alle sue compagne di scuola, nel cortometraggio Anneaux d'or del regista francese René Vautier, che sarà presentato al Festival di Berlino.
Il contratto con la Vides Lì, il regista Jacques Baratier la nota e le propone di lavorare nel cast di un film che sta per girare con Omar Sharif. La Cardinale accetta, ma con riluttanza, e si ritrova nel cast di I giorni dell'amore (1958) nei panni di Amina. Parallelamente, durante la Settimana del Cinema Italiano a Tunisi, organizzata dall'Unitalia-Film nel 1957, vince il concorso di bellezza "La più bella italiana di Tunisi" e ottiene come premio un viaggio a Venezia, durante la Mostra del Cinema. Al Lido, questa ragazza appena diciottenne non passa certo ignorata. Le viene offerto di frequentare il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Lei è combattuta, il sogno di essere attrice è già svanito e non sembra bramosa di protagonismo sul grande schermo. Convinta di non meritarsi tutte queste attenzioni, accetta e diventa l'allieva della grandiosa Tina Lattanzi che la metterà sotto nello studio dell'italiano e della dizione, seppur i risultati siano insoddisfacenti e scarsi e la spingano ad abbandonare gli studi dopo solo un trimestre, tornando alla sua amata Tunisia. La scelta di voltare le spalle al cinema, le fa avere una copertina sul settimanale EPOCA dove emerge tutta la sua eccezionale fotogenia, che tuttavia spinge il produttore della Vides, Franco Cristaldi, a proporre un esclusivo e ricco contratto che lei firmerà.
Una raccolta di foto che ritraggono la Cardinale con indosso alcuni dei suoi cappelli nel corso degli anni.
Comincia il periodo italiano della Cardinale. Claudia e' nel cast di un capolavoro, I soliti ignoti (1958) di Mario Monicelli, con Gassman, Mastroianni e Totò. Lei recita totalmente atterrita, ma riesce comunque a rendere comico il ruolo di Carmelina, una ragazza siciliana segregata in casa dal fratello (Tiberio Murgia), che colpisce al cuore il ladruncolo Renato Salvatori. Il personaggio di Carmelina sarà poi ripreso nel 1960 con Audace colpo dei soliti ignoti (1960).
Viene poi diretta da Claudio Gora in Tre straniere a Roma e da Alberto Cavalcanti in le Nozze Veneziane
Ma Il primo ruolo da protagonista, inuna parte decisamente drammatica,, è in Un maledetto imbroglio di Pietro Germi. Con lui, la Cardinale avverte subito un'affinità particolare. Germi, come lei, è un individuo di poche parole e molto scorbutico, ma è colui che le insegna cosa sia veramente la recitazione.
«Mi si è messo vicino, durante la lavorazione del film, e mi ha spiegato scena per scena cosa significava, cosa dovevo esprimere. Per la prima volta mi sono sentita a mio agio davanti alla macchina da presa e ho cominciato a capire che potevo fare tutto», con queste parole la Cardinale vince la sua paura della cinepresa, malgrado la sua voce sia sempre doppiata (come noterà tristemente un altro suo fan Pier Paolo Pasolini). Intanto, colpisce persino l'animo erotico di uno scrittore come Alberto Moravia che scriverà un articolo dedicato totalmente al corpo dell'attrice ( l'articolo verra' poi pubblicato sull'Esquire).
A questo punto della sua carriera, scopre di essere incinta, ma nasconde la gravidanza a tutti. È frutto di una violenta e breve relazione con un uomo francese (di cui mai dirà l'identità) più grande di lei di una decina d'anni. Caduta in depressione e spaventata, non cede ai pensieri suicidi, bussa all'ufficio di Cristaldi per chiedergli l'interruzione del contratto, in modo da potersene tornare in Tunisia, ma il produttore l'aiuta invece ad affrontare la famiglia e la spedisce a Londra, dove, lontano dalla stampa, con la scusa di dover imparare la lingua inglese per un film (lingua che imparerà davvero) termina la gestazione, diventando madre di Patrick Cardinale. Unica imposizione di Cristaldi è quella di non rivelare a nessuno la propria maternità e di far crescere il proprio figlio dai suoi genitori, come fosse suo fratello. Il motivo pare fosse legato al contratto all'americana, che vincolava la Cardinale in ogni aspetto pubblico e privato della sua vita, e al fatto che la visione di una Claudia Cardinale madre avrebbe creato scandalo nella bigotta società italiana, mettendo di fatto fine alla sua carriera. Il segreto rimarrà tale per sette anni, poi alla fine, un giornale scandalistico scoprirà la verità e la Cardinale, invece di sentirsi vittima, si sentirà libera di poter vivere come avrebbe voluto il suo essere madre.
La Cardinale non è tipo da fare commenti sullo scandalo del produttore Harvey Weinstein, ma quando Claudia Cardinale racconta del suo importante rapporto con un altro produttore, Franco Cristaldi, sembra di percepire nelle sue parole un certo disappunto, come se un remoto rancore tornasse a galla. «Stavo vivendo, in quel periodo, un momento molto delicato della mia vita — racconta la grande attrice che, all’epoca, era reduce da uno stupro subito a Tunisi, dov’era nata —. Un uomo che non conoscevo, molto più grande di me, mi costrinse a salire in auto e mi violentò. È stato terribile, ma la cosa più bella è che da quella violenza nacque il mio meraviglioso Patrick. Io infatti, nonostante fosse una situazione molto complicata per una ragazza madre, decisi di non abortire. Quando quell’uomo seppe della mia gravidanza, si rifece vivo, pretendendo che abortissi. Neanche per un attimo pensai a disfarmi della mia creatura! Ne parlai con i miei meravigliosi genitori e con mia sorella Blanche e tutti insieme decidemmo che il mio bambino sarebbe cresciuto in famiglia, come un fratello minore».
Mai avuto un rimpianto?
«Mai. C’è un detto in arabo: “Maktub”. Vuol dire “Così è scritto”, è il destino. Sono sempre stata fatalista: se qualcosa non succede, vuol dire che non doveva succedere».
Avrà pure un sogno, qualcosa che sente di non aver ancora realizzato.
«No, fin da piccola ho sempre pensato: se voglio posso. Ero una bambina determinata. E sono rimasta così; sono un’Ariete, del resto»
Prima di dormire a che cosa pensa?
«I miei fine-serata ormai sono di questo tipo: guardo il telegiornale, leggo, faccio le parole crociate. Poi mi vado a sfogliare le pagine delle barzellette: e rido. Sono una donna solare».
Niente inquietudini, neanche per il tempo che passa?
«No, non so che cosa siano. Non ho paura, io. Né della morte, né d’invecchiare. Non ho queste ansie: non ho mai fatto mezzo lifting in vita mia, non m’interessa».
Posso chiederle come mai?
«Il tempo deve passare. Non puoi pensare di fermarlo, è un’assurdità». Isabella Rossellini mi ha confessato in un’intervista di essere contenta della sua maturità, perché l’aumento degli anni va di pari passo a una crescita interiore di libertà e del potere su se stessi. Che ne pensa?
«Sono sempre stata libera. Da ragazzina ero un maschiaccio, facevo a pugni con i bambini, volevo provare che la donna era la più forte. E lo è: la donna dà la vita, se non ci fosse... adieu (ride, ndr)».
In effetti è una vita che lei si batte per la libertà delle donne.
«Sì, come ambasciatrice Unesco, ma anche da prima: a pensarci bene difendo le donne e i loro diritti dagli Anni 60. Ha presente quelli di rivoluzione e protesta? Ecco, c’ero in tutte le manifestazioni, in Francia come in Italia. Non me ne perdevo una».
E poi ha avuto pure una figlia femmina.
«Che ho lasciato libera a 14 anni di vivere da sola in una casa. E con Patrick ho fatto lo stesso: a 19 anni è andato ad abitare a New York. Molte madri non lo capiscono, ma lasciar andare i figli, lasciarli liberi di vivere la propria vita è fondamentale. Imparano da subito ad assumersi le loro responsabilità».
Oggi che rapporto ha con loro?
«Splendido. Forse per questo non ho mai momenti di sconforto. Ho la fortuna di avere due figli eccezionali: uno è un esperto di design che vive tra New York e Roma; l’altra una donna colta, che ha studiato storia dell’arte e anche lei fa la spola tra Parigi e Roma».
Che tipo di madre è?
«Riassumo tutto con la parola “libertà”. Ho fiducia nei giovani, anche al di là dei figli: lavoro tanto con registi esordienti, mi piace poter dare loro una chance». E se non avesse fatto l’attrice?
«Volevo scoprire il nostro pianeta, sognavo di fare l’esploratrice. E, in un certo senso, ci sono riuscita: ho lavorato in tutto il mondo. Ultimamente sono stata in Russia, in America, a Casablanca: sono sempre in giro, mi rendono omaggio dappertutto. Fin troppo!».
Che cosa se ne fa di tutti questi premi?
«Li tengo in salotto, sul caminetto. Ma non c’entrano più, sono tanti».
Lei ha conosciuto alcuni dei registi e attori più carismatici e desiderabili del mondo del cinema. Le va di fare un gioco? Io dico un nome, lei sfodera un ricordo.
«D’accordo, iniziamo».
Marcello Mastroianni.
«Con Marcello ho fatto tanti film straordinari. Il Bell’Antonio, Otto e mezzo. Marcello aveva solo un piccolo problema: era follemente innamorato di me. E io non ci sono mai cascata». La verità: possibile che non le piacesse? «Io non confondo mai la vita privata con il lavoro. Per quanto bravo e affascinante, Marcello per me restava un collega»
Alain Delon.
«Mi ripete sempre: “Potevamo avere una grande storia d’amore, invece siamo diventati una coppia mitica”. Siamo grandi amici, ci sentiamo e vediamo spesso»
Burt Lancaster.
«Straordinario. Quando fece Il Gattopardo tutti gli dicevano: “Ma come, un cowboy che fa il principe? Non è possibile”. E noi ridevamo come matti». Jean-Paul Belmondo
«Eravamo due ragazzacci, insieme facevamo cose inenarrabili. Alla prima di Cartouche, nel 1962, prepararono un meraviglioso cous-cous in mio onore. A un tratto nessuno ci vide più: eravamo sotto il tavolo, io facevo le polpettine e lui le lanciava sugli ospiti. Ci divertivamo così, una coppia di pazzi: una volta mi ha fatto sedurre il direttore di un albergo, mentre lui portava tutti i mobili della hall fuori in strada».
Mario Monicelli.
«L’ho visto fino a poco prima che se ne andasse, perché gli resero omaggio a Parigi. Ricordo che in mezzo alla folla ha urlato: “C’è qui la prima che ha cominciato con me”. Ed è vero, a lui devo molto. Sul set de I soliti ignoti non capivo niente, non parlavo italiano. Ma lui era in grado di metterti sempre a tuo agio, aveva un’ironia straordinaria».
E che mi dice di Claudia Cardinale? Non è un uomo, ma con la sua determinazione a essere “un maschiaccio” è come se lo fosse.
«È una che ha fatto tutto quello che voleva. Senza mai arrendersi, battendosi sempre: perché nella vita non bisogna mai abbassare la guardia».
In questo periodo, la Cardinale partorisce come si e' gia detto un figlio illegittimo, più avanti adottato da Cristaldi, e affronta con grande dignità e coraggio lo scandalo e i pettegolezzi che la vicenda provoca nella mentalità ancora rigida di quegli anni. Claudia dimostra di essere forte e tenace, lavora con maggiore impegno e proprio all'inizio degli anni Sessanta, ottiene i suoi maggiori successi con I Delfini (1960), Il Bell'Antonio (1960), Rocco e i suoi fratelli (1960) di Luchino Visconti e soprattutto con La ragazza con la valigia (1961) di Valerio Zurlini e La ragazza di Bube (1963) di Luigi Comencini. Soprattutto in quest'ultimo film, in cui finalmente recita non doppiata e anzi sfrutta al meglio le particolarità della sua voce, Claudia restituisce alla protagonista un'intensità e un'umanità davvero magistrali.
Bello il film di Francesco Maselli, un film che tratta temi abbastanza delicati quasi impossibili da proporre in quegli anni. Descrivere la vita dei giovani rampolli benestanti di provincia ad inizio anni '60 non era impresa facile. Maselli ci e riuscito benissimo coaudivato anche dagli ottimi attori. Tomas Milian tra gli altri inertpreta , l'egocentrico, superbo ed arrogante Alberto de Matteis. Claudia Cardinale è Fedora, una bellissima ragazza piuttosto povera che sogna di entrare nel ristrettissimo mondo dei "delfini". Antonella Lualdi, la cinica Elsa che illude l'altrettanto cinico Claudio Gora, persona viscida ma abile affarista. Gérard Blain, il "nostro" Anselmo che ci guida nella trama del film descrivendo personaggi e stati d'animo. Betsy Blair, magistrale nell'impersonare la nobile Rita Cheré, forse la più vera in questo gruppo di ricchi infelici e insoddisfatti che si sentono prigionieri di tanta ricchezza. E poi Sergio Fantoni, il medico puro, l'ingenuo e sognatore, uomo affascinante che stenta a capire quel mondo di straricchi antipatici ma dai quali si sente tuttavia attratto, innamorato senza speranza di Fedora. Le giornate trascorrono tra serate mondane, ricevimenti noiosi e i molti appuntamenti giornalieri al caffè della città dove parlare e sparlare di tutti "quelli importanti", i personaggi "in" che fanno tendenza e che possono suscitare scandalo anche solo per essere visti accompagnare una donna per qualche passo. I personaggi sono tutti ben definiti, anche quelli un pò marginali, e contribuiscono a creare l'atmosfera torbida e falsa che aleggia sopra le loro teste. Anselmo è il più umano, anche se non si sottrarrà neppure lui a suoi doveri già imposti dalla famiglia. Un personaggio riuscito, che si contrappone ad Alberto de Matteis. Definirlo antipatico è un eufemismo, è la quintessenza della superbia e dell'arroganza eppure... Appunto, eppure Fedora e le donne sono pazze di lui e farebbero follie per fare un giro sulla sua Ferrari. La folle corsa per le stradine con tanto di sorpassi azzardati al limite dell'incoscenza la dice lunga su questo ragazzo bello ma odioso, che pensa tutto gli sia dovuto solo perchè si chiama Alberto de Matteis. Le botte prese dal medico lo fanno forse tornare sui propri passi per qualche istante, ma è senza speranza, nulla può contro la sua esistenza scellerata e vuota. Povera Rita Cheré, lei che voleva nascondere a tutti i suoi disagi economici inscenando un partenza verso terre lontane e regalando agli amici souvenir per essere sempre presente nei loro pensieri. La mezza medaglia data al medico è un artificio squallido ma il peggio, cioè quello che non doveva succedere, è la scoperta della sua sopraggiunta povertà scoperta da tutti vedendo le stanze vuote da ogni mobile, tavolo, sedia, ad eccezione della grande sala, lasciata volutamente "normale" per la facciata, per sviare i suoi amici da possibili sospetti. Un ritratto impietoso di una gioventù ricca ma vuota di autentici valori morali. La derisione di tutti nei confronti di Rita è un pugno nello stomaco per lo spettatore sensibile, tanto che si rimane sgomenti e increduli. Ma c'è da pensare che all'epoca il luogo comune fosse proprio quello, amato se sei ricco e deriso se sei povero, peggio ancora se perdi per strada la tua ricchezza. L'unica ad aver vinto forse è Fedora, aiutata dalla sua avvenenza a entrare anche lei nell'Olimpo dei "delfini" by Joss.
Tratto dal romanzo omonimo del 1949 dello scrittore siciliano Vitaliano Brancati ambientato in piena era fascista, ma trasportato dalla sceneggiatura di Pier Paolo Pasolini e Gino Vicentini, a ridosso del 1960, il film del regista toscano Mauro Bolognini racconta la storia di Antonio Magnano (Marcello Mastroianni), che dopo tre anni trascorsi studiando legge a Roma, ritorna nella nativa Catania dove il padre (Pierre Brasseur) gli ha organizzato un bel matrimonio di convenienza con la figlia di un facoltoso notaio. La fama di Antonio arrivata fino nella Sicilia è quella di un uomo molto apprezzato dal genere femminile, ma restio al legame. Ma quando il cugino Edoardo (Tomas Milian) gli mostra la foto di Barbara Pugliesi (Claudia Cardinale), Antonio è fulminato dalla bellezza della giovane. Un colpo di fulmine che lo spinge al matrimonio. Il dramma di Antonio scoppierà violento quando la moglie scoprirà la sua impotenza, e deciderà spinta dall'avidità della famiglia di chiedere l'annullamento del matrimonio, devastante scandalo per la famiglia disonorata di Antonio. Il romanzo di Brancati è un irriverente e spesso comico ritratto di un'epoca attraverso il personaggio di Antonio. Un perfido schiaffo al macismo vigoroso del ventennio nero in chiave sicula, con pagine di raffinata ironia, la pellicola di Bolognini si sposta su un registro di commedia amara (inserendosi con personalità in quell'anno magico che fu il 1960 per il cinema italiano con il Fellini, la Dolce Vita, e L'avventura di Antonioni), concentrando lo sguardo sulla psicologia e sulle contraddizioni tutte interne dei personaggi. Un lavoro di scavo nelle profondità della crisi, culturale e umana, di una generazione incatenata dalle consuetudini e dai riti di una sacralità inviolabile come quella del rapporto uomo-donna, che scoppieranno violentemente con l'arrivo del '68. La sessualità, il matrimonio, la famiglia, diventano i tabù di una critica sociale dal forte impatto intellettuale. Così, affiancato alla sceneggiatura, come già era successo nel film precedente La notte brava, da Pasolini, Bolognini tesse un sapiente, ed elegante, universo familiare, concentrando lo sguardo sul volto di un malinconico Mastroianni, circondandolo dalle impeccabili interpretazioni di Rina Morelli e Pierre Brassuer
Cannes, 17 maggio 2015 - "Con Luchino Visconti ci siamo stati subito simpatici - afferma Claudia Cardinale prima di entrare nella sala Bunuel alla proiezione della versione restaurata di 'Rocco e i suoi fratelli', inserito nella sezione Cannes Classic del festival. "Ho interpretato una piccola parte nel film (Giannetta ndr), ma e' stato il mio primo progetto con Luchino. Lui mi considerava un maschiaccio", afferma l'attrice. Poi regala altri ricordi: "Dovevamo girare una scena in piscina ed era abbastanza pericoloso. Così Luchino avvertì la troupe dicendo: 'Non ammazzatemi la Cardinale'. Ci piaceva stare insieme, viaggiamo molto, ricordo come un sogno un viaggio a Londra dove abbiamo visto l'ultima rappresentazione di Marlene Dietrich". Tra gli interpreti del film oltre alla Cardinale c'erano Renato Salvatori (Simone), Alain Delon (Rocco), Annie Girardot (Nadia).
Rocco e i suoi fratelli è stato restaurato dalla Cineteca di Bologna, in collaborazione con Titanus, TF1 Droits Audiovisuels, The Film Foundation di Martin Scorsese e Gucci. Il restauro, supervisionato dal direttore della fotografia del film Giuseppe Rotunno, recupera i tagli di censura avvenuti dopo la prima alla Mostra del Cinema di Venezia del 1960, in particolare le due sequenze della violenza di Simone su Nadia e dell'omicidio della stessa Nadia da parte di Simone.
Claudia Cardinale, prima di essere Claudia in 8½ di Federico Fellini e soprattutto Angelica ne Il Gattopardo di Luchino Visconti, è stata Aida, una giovane ragazza che si diletta nel canto e nella danza in una piccola orchestra e subisce la classica delusione degli anni giovanili, viene sedotta e abbandonata da un latin lover di bell’aspetto, Marcello. La donna – che è un personaggio finemente strutturato – non demorde e una volta messosi sulle tracce dell’uomo che l’aveva folgorata, viene a trovarsi – per una serie di fortuite circostanze a condividere momenti con il fratello minore di Marcello (Corrado Pani): il sedicenne Lorenzo (Jacques Perrin) che si innamora di lei. Parallelamente alle pene d’amore di Aida per Marcello e di Lorenzo per Aida, intervengono circostanze complesse, tipiche della vita della classi sociali più umili, che porteranno la vicenda a rimanere sospesa e allo stesso tempo segnata.
Secondo dopoguerra. Mara (Claudia Cardinale) è fidanzata con Bube (George Chakiris), giovane schierato politicamente e amico del fratello partigiano della ragazza, morto in guerra. Durante uno scontro con ex-fascisti, il ragazzo compie un omicidio e si trova costretto a nascondersi prima di fuggire all'estero. Rimasta sola, Mara si trasferisce in città, dove l'amica Ines (Monique Vita) le presenta Stefano (Marc Michel): la ragazza dovrà scegliere se stare con lui o con il fidanzato latitante. Riuscito adattamento del romanzo omonimo di Carlo Cassola, vincitore del premio Strega, il film si differenzia dalla pagina scritta solo per alcune semplificazioni nella trama e per l'età dei due protagonisti, molto più giovani nel libro che non nel lungometraggio. L'opera mette in luce il malumore e la disillusione che continuano a serpeggiare in Italia dopo la fine della Seconda guerra mondiale, soffermandosi sulle differenze tra chi ha lottato a fianco dei fascisti, ritenuti responsabili della miseria in cui ci si trova a vivere, e chi, invece, si è schierato per la resistenza. Comencini osserva con rispettoso distacco i protagonisti, interpretati in modo misurato e convincente da Claudia Cardinale e da George Chakiris, all'interno di uno spaccato storico radicato nella realtà dell'epoca. Ma quello che conta è la figura di Mara e il suo velo di romantica malinconia. Un po' ridondante e non sempre incisivo al punto giusto, ma rimane ammirevole la sensibilità del regista nel tratteggiare un dramma amaro e commovente. Splendido bianconero di Gianni Di Venanzo. Presentato in concorso al Festival di Berlino.
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